L’1 dicembre è stato presentato in grande stile il libro (in parte autobiografico) sul Dott. Rosario Pugliarello, presidente del Panathlon Club Gianni Brera Università di Verona

Su youtube, nel canale Headwolfs, un video dell’evento (con il titolo: Pugliarello)

È fresco di stampa “Sport e Scienza con voce solista” (Edizioni ZeroTre), la storia di vita, quasi un romanzo, di Rosario Pugliarello, presidente del Panathlon Gianni Brera-Università di Verona. Il mondo della ricerca scientifica e quello dello sport rappresentano un polo d’attrazione straordinario per chi ha il coraggio, e la capacità, di intersecarli percorrendo strade innovative in totale libertà espressiva.

Rosario Pugliarello ha saputo coniugare la curiosità dello scienziato e l’eclettismo dello sportivo senza mai tradire quella vocazione anarchica che gli ha suggerito scelte costantemente fuori dagli schemi armonizzando con criteri personali le istanze della cultura orientale e quelle della tradizione occidentale.

È soprattutto questa la ragione per cui il Panathlon Club Gianni Brera-Università di Verona, in collaborazione con il Panathlon Club Verona 1954, con il Panathlon Club Mantova Tazio Nuvolari e Learco Guerra e in sinergia con l’Ussi Veneta (Unione stampa sportiva italiana) e con il Coni Lombardia, ha scelto di inserire il volume autobiografico “Scienza e Sport con voce solista”, nella prestigiosa collana di letteratura sportiva “La coda del drago” (Edizioni ZeroTre) che allinea opere di elevato spessore culturale con testi di firme prestigiose come Gianni Brera, Gianni Mura, Gilberto Lonardi, Darwin Pastorin, Gigi Garanzini, Claudio Rinaldi o Massimo Raffaeli.

A curare la struttura editoriale del volume sono stati Nin Guarienti e Adalberto Scemma seguendo le indicazioni di Rosario Pugliarello che ha potuto godere della più ampia libertà espressiva nella stesura del suo lungo e molto articolato racconto di scienza e di sport. Ne è uscito lo spaccato di un periodo culturale ricco di sollecitazioni per chi ha saputo, come Rosario, coniugare con sapienza la curiosità del ricercatore e l’adesione a quella sorta di filosofia (il cosiddetto “ritorno alla prassi”) che ha garantito sempre e comunque l’avallo dell’evidenza scientifica. Proponiamo qui uno stralcio della prefazione di Nin Guarienti.


PREFAZIONE di Nin Guarienti

Gli autori di un libro spesso incaricano un amico di scrivere alcune pagine che accompagnano il lettore anticipando il tema del racconto, rispettando nel contempo l’argomento. Nel nostro caso, il libro parla di sport e le due firme, se fossero lasciate libere, meriterebbero un’enciclopedia: sono quelle di Rosario Pugliarello e di Adalberto Scemma, firme d’oro, che conosco e m’incantano da decenni.

Non ho mai fatto sport, nemmeno quelli di prammatica a scuola: pallavolo, pallacanestro, calcio. Perché? Per pigrizia, tanto per trovare una giustificazione valida. Penso, però, che la ragione più vera sia nel mio carattere di solitario, fin da bambino.

Ho cercato di farmi affascinare dal calcio quando l’Hellas Verona incantava la serie A e Il Giorno, di cui ero corrispondente, voleva che gli mandassi articoli originali e un po’ pazzi. Mi telefonavano divertiti. “Fai al caso nostro” dicevano. E adesso che quel bel giornale ha chiuso mi sento in colpa….

Per parlare un po’ di me, vi dico che l’unico disciplina sportiva che mi ha veramente divertito è stata l’ippica, ma nella versione solitaria: due-tre cavalieri a passeggiare in sella sulle colline senza mai gareggiare. Amor di solitudine? Sì, posso confermarlo. Ma anche di superbia.

La stessa che mi ha spinto, con allegria e affetto, a fare ancora un po’ di strada con due “grandi”. E adesso partiamo di loro: di Rosario, che mi sopporta da quasi settant’anni; e di Adalberto, che lo fa da più di mezzo secolo.

Rosario mi faceva gli auguri di buon onomastico ogni San Giovanni Battista (il mio vero nome di battesimo). E così decisi di ricambiare. Sfogliai non so quanti calendari invano e aprii i tre o quattro vocabolari casalinghi. Che risposero con molta serietà ma inutilmente dicendomi che “il rosario è un esercizio di devozione alla… Vergine Maria consistente nella recita di un Padre Nostro, dieci Ave Maria” etc. etc.

Allora domandai a Rosario perché gli avessero messo proprio quel nome. “La mia mamma faceva fatica a rimanere incinta – rispose – e così andò a Pompei e lì fece un voto: voleva una bambina, e se fosse arrivata l’avrebbe chiamata Maria Grazia o Rosaria. Ma arrivai io e, devotamente, mi chiamò Rosario”.

L’ho paragonato un giorno a Karate Kid, il maestro giapponese di lotta e di saggezza. Ma a salvarlo dall’icona cinematografica nella quale magari ci starebbe anche volentieri, sono l’ironia, un’innata anarchia e soprattutto le donne della sua vita, moglie e quattro figlie che gli permettono di fare l’uomo di casa – e va da sé, altri uomini non ce ne sono – ma sanno ridurlo a miti sentimenti con un sorriso, una battuta, uno sguardo seducente.

“Rosario di nome e Karate Kid di soprannome. Ti hanno mai preso in giro?”, azzardai. Sorrise e continuammo a parlare. Di sport.

Lo sport ha catturato Rosario dalla prima elementare, cominciando con il calcio e continuando ancora adesso con la docenza universitaria. Nel calcio, anche da bambino, Rosario era contemporaneamente difensore, regista e allenatore. I suoi compagni gli volevano bene e lo stimavano, così le squadre affidate al suo genio sportivo vincevano sempre, salivano di categoria e i ragazzi più bravi passavano a squadre più importanti.

“Bravi, ma senza soldi – racconta Rosario –: la nostra fortuna era la simpatia che suscitavamo. Ad esempio, i ferrovieri ci prestavano il loro campo a Santa Lucia. Lo spogliatoio era un vagone merci, ovviamente senza sanitari e senza docce. Dopo ogni partita eravamo neri per la polvere di carbone con cui ci insozzavamo sul campo. Solo le docce a casa ci rendevano presentabili. Quell’anno ero tesserato con l’Edera, dopo due anni passai alla Dinamo, dove giocavano parecchi ragazzi che frequentavano la mia stessa scuola media “Duca d’Aosta”. L’anno successivo la Dinamo mi vendette al San Nazzaro: 60mila lire, tre palloni di cuoio e una muta completa di maglie, calzoncini e calzettoni per il gioco. Robe da campioni…”. Robe a campioni, appunto.

Ma una volta percepito che campione non sarebbe mai riuscito a diventare ecco Rosario chiudere di botto con il calcio giocato. Una scelta sofferta? Mica poi tanto. Mentre appendeva le scarpette al chiodo, raccontò che rinunciava per una ragione semplicissima: Gianni Rivera aveva debuttato nel massimo campionato a 16 anni non ancora compiuti e in Nazionale a 19; quindi lui, Rosario Pugliarello, ormai sarebbe stato secondo al “golden boy” e questo non gli sarebbe piaciuto. Non era vero, naturalmente, ma dava questa spiegazione con un tono che non sapevi se credergli. A noi piaceva credergli anche perché, a pochi mesi dall’addio al pallone, lo trovammo, non ancora diciassettenne, campione italiano di karate. Gli piaceva bruciare le tappe, si gettava anima e corpo in tutto quello che faceva. Il karate lo fece diventare protagonista delle cronache sportive. A ventun anni era una delle quarantadue cinture nere italiane.

Non è casuale, a questo punto, la scelta di provare – dopo la promozione dalla prima alla seconda Liceo Scientifico – il concorso per accedere all’Accademia militare “Nunziatella” di Napoli. “Era stimolante – confida Rosario – la figura dell’accademista con divisa e spadino e del resto, considerando la tradizione familiare, il mio interesse per l’Accademia non aveva sorpreso nessuno. I componenti maschi avevano avuto tutti un percorso più o meno lungo nelle varie discipline militari. Superati a Padova gli esami regionali, sono stato ammesso, ottavo in graduatoria, a sostenere le prove fisiche e le prove orali di matematica presso l’Accademia. Mi sono bastati però tre giorni di permanenza per rendermi conto che quel percorso non faceva per me”.

Lasciamo adesso la “Nunziatella” e il calcio parrocchiale e mettiamoci a chiacchierare con Rosario, una storia la sua che continua adesso su piani alti, con il nostro amico diventato docente universitario. Forse, data la sua innata gentilezza, Rosario non ricorderà il garbo che lo ha sempre accompagnato. Guai se scuote la testa, leggendo queste parole: non invento nulla. Gliel’ho detto: è stato severo, ma come un bravo maestro. Io non vado elencato tra gli allievi meritevoli: la pigrizia, non voglio che rida, è sempre stata amica mia e ha avuto la meglio.

Vedo in Rosario un maestro, peraltro, anche per la maniera ad ampio spettro con cui ha affrontato la professione di medico: da un lato l’immagine del vecchio dottore di famiglia, dall’altro la docenza universitaria e il salto di qualità nel territorio della medicina non convenzionale. La disciplina orientale per lui non è stata infatti solo sport e agonismo ma una porta affacciata su nuove culture.

A Parigi, dove stava seguendo corsi intensivi di karate sotto la guida del suo maestro giapponese, rimase affascinato nel vedere gli assistenti del maestro, due giovani vietnamiti, rimettere in condizione, con l’agopuntura, atleti infortunati. Già studente di medicina, già deciso a diventare soprattutto medico dello sport, immagazzinava quell’esperienza e, senza tanto chiasso, cominciò a frequentare oltre alle aule universitarie anche corsi d’agopuntura fino ad ottenere a Parigi il Diploma Internazionale di agopuntura della Scuola Superiore di Francia. Adesso quella passione è diventata parte della sua professione e, da alcuni anni, materia d’insegnamento.

Del resto, come lui stesso ama evidenziare, “l’agopuntura è solo una conoscenza professionale in più per aiutare i miei pazienti”. Bussano al suo ambulatorio di Verona persone che vogliono ritrovare il benessere fisico seguendo una dieta personalizzata o un ciclo di terapie riabilitative dopo un intervento chirurgico. Chiedono aiuto alla sua esperienza e abilità soprattutto gli atleti che lo hanno avuto come medico sociale del Trento, del Napoli, dell’Atalanta, dell’Udinese, del Vicenza, del Ravenna o del Chievo o come consulente di parecchie altre società, oltre ai futuri preparatori atletici che hanno seguito le sue lezioni all’Istituto Superiore di Educazione Fisica.

La profonda conoscenza dei traumi sportivi ha aperto a Rosario anche le porte della medicina dello sport, una disciplina che non si occupa solo di muscoli e d’ossa ma anche di psiche. Ne sa qualcosa Roberto Di Donna, mago della pistola, che prima di ogni appuntamento internazionale vuole accanto Rosario “perché mi insegna a concentrarmi e a rilassarmi nello stesso momento”.

Sembra strano questo feeling tra numerosi atleti e Rosario, che è un medico duro, severo, al limite della cattiveria. “Nulla d’inspiegabile d’arcano – dice –: gli atleti spesso sono degli eterni ragazzini. La loro professione, se guardiamo bene, è giocare un gioco continuo. E l’aspetto ludico, insieme con il fascino della ribalta, li rende viziati. Io divento quello zio severo che gli fa ottenere buoni risultati adottando le maniere forti, ma, offrendo loro la massima disponibilità”.

Quelle maniere che Rosario userebbe spontaneamente anche quando si toglie il camice se ironia, spirito anarchico e soprattutto le donne della sua vita…

Adesso la penna dei ricordi è affidata al caro Rosario, e al magico scrittore Adalberto Scemma. Di lui posso affermare che è stato ed è il più bravo collega che ho avuto. Preparatissimo, scrive in contemporanea articoli di cronaca e saggi di sport; insieme ci siamo occupati delle stragi di Bologna e di Brescia che ancora oggi, quando ne parliamo, ci fanno soffrire, e di cronaca nera nel Veronese.

Adalberto è sempre stato molto più bravo di me e di tutti con naturalezza e rapidità, dote, quest’ultima, fondamentale nella nostra professione ma assai rara. Non cancellate nulla di queste righe, perderei la pazienza! La perderei per semplici ragioni: la prima è legata al numero di libri scritti da Adalberto, che vanno dallo sport alle biografie, dai romanzi che catturano la curiosità dei bambini ai brevi racconti pieni d’ironia, basti pensare a un titolo come questo: “Calciatori- Lavori socialmente inutili”. Premi? Innumerevoli. A iosa.

P.S: Ringrazio molto i miei due amici Adalberto Scemma, magico giornalista-scrittore (come dicono i suoi libri che lo hanno reso famoso dalla Val d’Aosta alla Sicilia) e Rosario Pugliarello, atleta senza rivali, in primis sul campo di calcio, poi sul Tatami ed infine medico insuperato dello sport. Li ringrazio per avermi voluto accanto a loro e nelle loro pagine. Meriti non ne ho. Ho solo la grande fortuna di due invidiabili amicizie, la prima, nel tempo, con Rosario Pugliarello, che risale all’infanzia quando tutti, compreso un asino come me, passavamo interi pomeriggi sul campo. Non invento nulla se ricordo che il pallone obbediva a Rosario, un bambino che non solo era un atleta, ma rivelava anche quelle doti diplomatiche miste all’allegria che lo hanno trasformato in un capo. Sempre severo e autorevole nello sport e nella medicina per aiutare tutti i compagni della vita.


SMNC, COSÌ È NATA LA SCUOLA
DI MEDICINE NON CONVENZIONALI

Riportiamo, dal libro autobiografico del Dottor Pugliarello, questo gustoso estratto:

“Si chiama SMNC, Scuola di medicine non convenzionali Scaligera, ed è una realtà di cui vado particolarmente orgoglioso. Partiamo dal 2005, anno in cui lascio l’incarico di responsabile medico del Napoli Calcio, per varie ragioni, prevalentemente legate alla lontananza dalla famiglia, ma non ultima quella relativa ad una zoppia, sempre più evidente, dovuta ad una duplice scivolata sulle scale di casa (non sarebbe stato dignitoso soccorrere giocatori zoppicando), per arrivare al 2013, quando nel corso di una telefonata di piacere con un amico-collega, Franco Carrara, ortopedico, mi scappa di dirgli: “Prima o poi dovrò decidermi ad operarmi all’anca”- La sua risposta: “Tra una settimana parto per le ferie, se vuoi ti opero prima”. Detto fatto, mi ricovero e vengo operato presso l’Ospedale Pederzoli di Peschiera del Garda Verona, stesso Ospedale dove parecchi anni prima mi occupavo di Medicina dello Sport ed avevo un servizio di agopuntura. Riprendiamo i contatti con la proprietà e l’amministrazione e ripartiamo da dove ci eravamo lasciati. Assumo la responsabilità del servizio di medicina dello sport individuando, possibilmente, la fattibilità di un servizio che, oltre alle idoneità, fosse in grado di occuparsi di recupero infortunati, prevenzione e quant’altro inerente allo sport oltre all’inserimento, nel progetto, di una scuola d’agopuntura. Dopo varie valutazioni sulla disponibilità di spazi, non risultando, almeno momentaneamente, aree disponibili per l’intero progetto, si decide di partire solo con l’aspetto didattico, rimandando nel tempo quello sportivo. Nasce, così, nel 2016 la SMNC Scaligera nella moderna e bella struttura Ospedaliera di Peschiera del Garda, dove verranno poi svolte le lezioni del primo Corso triennale di agopuntura tradizionale cinese. Con l’occasione mi permetto di rivolgere i miei più sentiti ringraziamenti, per l’opportunità e la disponibilità concessami, alla proprietà ed all’amministrazione nelle persone dei professori. Paolo e Vittorio Pederzoli e del rag. Giuseppe Puntin. Le lezioni venivano svolte nei fine settimana, questo per permettere agli allievi, tutti medici chirurghi o odontoiatri già laureati e abilitati alla professione, di poter svolgere durante la settimana le loro abituali mansioni. Ricordo che il primo corso partì con ventisette allievi provenienti prevalentemente dal Trentino, dalla Lombardia, dal Sud Tirolo e dal Veneto. L’età variava dai giovani appena abilitati ai meno giovani già in pensione. Erano tutti, comunque, particolarmente motivati e interessati e per tutti la scelta di aprirsi a nuove conoscenze era determinata dall’esigenza di approcciarsi al paziente con una visione più generale del problema che non veniva più considerato fine a sé stesso, ma come la risultante di uno squilibrio generale. Per capire meglio questo nuovo stimolo di sapere che animava gli allievi, è sufficiente dare un’idea di come si è svolto il primo fine settimana di quel primo Corso. L’orario delle lezioni prevedeva, sia per il sabato che per la domenica, di impiegare la mattina dalle 9 alle 13 e il pomeriggio dalle 14 alle 18. La prima giornata di sabato, da calendario, era mia; la domenica era, invece, prevista per un altro docente di Milano. Bene, alle 9 di sabato inizia la lezione che va avanti ininterrottamente, voglio dire senza nessuna pausa, alle 19. Questo per dire il grande interesse che il Corso stava suscitando. Torno a casa, poco dopo mi arriva una telefonata da parte del collega di Milano che mi avvisa che a causa di un problema non previsto non può presentarsi per la lezione del giorno dopo. Primo giorno, primo problema da risolvere. La domenica mattina eccomi ancora pronto per la seconda lezione, argomento diverso, ma uguale durata: dieci ore filate. Un po’ provato salgo in macchina e tornando verso casa il primo pensiero che formulo: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Ancora non mi sono dato la risposta, però ricordo con piacere quel senso di benessere frammisto a soddisfazione che mi ha accompagnato nel ritorno verso casa”.

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