“Tifoso”: sinonimo di sostenitore, ammiratore, entusiasta, fanatico, supporter, fan, …

Per quale motivo un individuo apparentemente “normale” può trasformarsi alla domenica in un esagitato sostenitore di una squadra, confondendosi persino nell’anonimato di un gruppo indistinto per evitare di essere riconosciuto?

Si è di fronte ad uno sdoppiamento di personalità?

O non è altro che una valvola di sfogo liberatoria?

In certi casi sembra però un fenomeno di stampo quasi religioso, perchè c’è chi ammette di provare addirittura una sorta di “fede” nei confronti della squadra del cuore.

Ma i tfosi sono tutti “monogami”?

Non tutti, perchò si può provare simpatia per più di una squadra.

“SLALOM”, a tale proposito, ha pubblicato queste considerazioni (il 28 agosto 2024) con il titolo

Cosa non dice di noi la squadra per la quale tifiamo

Il tifoso di oggi ha una squadra del cuore e altre che gli piacciono. La prima non la scegli, non la scegli mai, quasi mai, perché arriva spesso per eredità, le simpatie invece si, e sono quelle che ci descrivono come persone. È la tesi di Galder Reguera, basco, responsabile del progetto della Fundazioa Athletic Club, Ne ha scritto un paio di giorni fa su El Pais, ed è un pezzo formidabile. 

Reguera comincia il suo racconto da un amico, un artista di sinistra, dice, un uomo che incarna perfettamente il prototipo del tipo di persona che ha deciso di essere. Porta i capelli lunghi, ha la barba, tatuaggi vari e quando parla se la prende con il sistema, con i poteri forti che lottano per renderci infelici. 

“Si è fatto come gli scrittori che disegnano un personaggio: ogni dettaglio della sua immagine e ogni parola pronunciata risponde a una scelta attenta che si adatta perfettamente al ruolo che ricopre nella vita” spiega Reguera. C’è un problema, un problema che egli stesso confessa “con il tono che altri usano per dire che qualcosa gli è sfuggito di mano, che sia la droga o il sesso virtuale”. Il problema dell’amico di Reguera è il suo tifo per il Real Madrid. Un po’ quel che molti milanisti di sinistra, con Fausto Bertinotti in testa, hanno vissuto ai tempi di Silvio Berlusconi. Reguera è rassicurante: “Potete tifare per il club guidato da Florentino Pérez, portare Capital  sotto il braccio, visitare le mostre di Marina Abramović e denunciare gli eccessi delle compagnie petrolifere in Amazzonia. Non credo che la squadra per cui si fa il tifo, ci descriva come persone. Al contrario, il più delle volte non si tratta di una scelta, ma di un’eredità. Come gli occhi azzurri, la calvizie o l’accento, la vostra squadra determinerà la vostra identità solo nella misura in cui lo permetterete”. 

Secondo Reguera, molte volte il nostro tifo rappresenta un’anomalia nella nostra visione del mondo. Il suo amico di sinistra si commuove quando pensa al Santiago Bernabéu frequentato con suo padre, “ e ascoltandolo – dice Reguera – penso che sarebbe triste se non continuasse così con suo figlio”.  

Ma poi c’è altro, ci sono le simpatie, e nelle simpatie si nasconde la nostra personalità. Reguera cita un film tedesco, si intitola Wochenendrebellen [I ribelli del weekend in italiano, ndSl] e racconta la storia di Jason, un ragazzo affetto da sindrome di Asperger. Non avendo ancora una squadra per cui tifare, decide di scegliersela in base a determinati criteri: uno stadio sostenibile, una curva antifascista, giocatori che portino scarpe sobrie. Così, visita con suo padre tutti gli stadi di calcio tedeschi e anche altri in Europa. Il film è tratto da un caso reale, raccontato dal signor Mirco von Juterczenka in un libro. È una bella storia di amore filiale con il calcio sullo sfondo.

Reguera allora si è convinto: “Viviamo in un mondo globalizzato in cui il tifoso accompagna la sua prima squadra con altre simpatie, sia dello stesso campionato sia di altri. Ecco perché i giovani di oggi sono sinceri quando dicono di essere tifosi di tre o quattro club diversi, o quando li cambiano con il passare delle stagioni. Simon Kuper afferma che il tifoso attuale è poligamo e intermittente e che i club per cui tifa sono la conseguenza di ragioni accidentali, in contrasto con le ragioni forti che determinano le radici del tifoso classico, sostanzialmente familiari o geografiche”. 

Reguera si dice d’accordo con Kuper solo in parte [“Solo la squadra principale, solo quella che ami ti fa soffrire. Piangiamo solo per il club che ereditiamo e non scegliamo, così come non scegliamo i nostri genitori o il luogo in cui nasciamo”] eppure riconosce che le nostre simpatie ci descrivono. “Potrebbe essere ingiusto – scrive allora – giudicare qualcuno dalla squadra di cui è tifoso, ma non dalle squadre per cui simpatizza. Quei colori che seguiamo con la coda dell’occhio sono come i puntini di quei passatempi che unendoli con la matita ti danno un’immagine. E quell’immagine è un autoritratto di cui siamo responsabili, come ascoltare Kenny G, fare giochi di destrezza o indossare scarpe da barca”. 

Insomma. Non è colpa vostra se tifate per … [spazio bianco da riempire a vostro piacere], ma è decisamente colpa vostra se …. vi sta simpatica.

RICORDIAMO inoltre che IL TIFO NELLO SPORT è uno dei “temi di studio” del nostro sito e una sorta,di “sorvegliato speciale” del panathlon, perchè il tifo degenera talvolta nella violenza e talvolta è praticato da estremisti politici organizzati.

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