Angelo Tagliapietra è uno dei “totem” dell’atletica veronese, personaggio multiforme, autentico hombre vertical, come s’usa dire, rappresenta l’esempio di ciò che le storie di vita, anche quelle in apparenza minimali, insegnano giorno dopo giorno: ti viene restituito sempre e soltanto ciò che hai dato. E Angelo, generoso come pochi, ha sempre dato moltissimo nel corso delle tante stagioni che l’hanno vito in prima linea sui campi di atletica come atleta e come tecnico, ma anche e soprattutto come persona.

Nel 2021 è uscito su Angelo Tagliapietra un libro della collana LA CODA DEL DRAGO, scritto con alcuni contributi dalla giornalista Paola Colaprisco, che è stata presidente del nostro club per un anno, fino a marzo del 2023

Questa la prefazione di ERMINIO AZZARO:

UN TESORO DA CUSTODIRE

Angelo è una persona eccezionale. L’ho conosciuto nel 1973, quando sono arrivato a Verona. Ed è stata una scoperta.

Il nostro primo contatto risale al 1972, al meeting di Viareggio, dove aveva accompagnato Gino Perbellini, un velocista veronese. Scoprii che conosceva Carlo Vittori, il mio allenatore. Erano stati compagni di squadra in Nazionale. E poi conosceva Giorgio Oberweger, ex-discobolo e commissario tecnico della Nazionale, uno dei primi modernizzatori dell’atletica leggera in Italia.

Entrammo subito in sintonia. Angelo è un uomo di sostanza, più pratica che teoria. Anche se conosce molto bene la tecnica del mezzofondo veloce, con cui poi ha plasmato i suoi atleti, saltatori in estensione e velocisti. Conosce la tecnica della corsa, la biomeccanica, il gesto dello stacco, e con un linguaggio semplice riesce a renderlo comprensibile a chiunque.

Otre ad essere un grande allenatore è stato soprattutto un grande campione, cosa di cui non si è mai parlato abbastanza. Pur frequentando il giro della Nazionale, di cui per un certo periodo è stato uno degli atleti di punta, se avesse avuto la fortuna di vivere un ambiente, mi si passi il termine, più evoluto, almeno dal punto di vista tecnico, sono convinto che avrebbe potuto ottenere risultati ancora più importanti. E avrebbe fatto qualcosa di grande, perché era un talento purissimo.

Avrebbe potuto ambire a qualcosa di più anche come allenatore, ma credo che abbia di proposito cercato una sorta di rassicurante anonimato. Stava bene con i suoi ragazzi al Campo Coni, era la sua dimensione, la sua comfort zone.

È sempre stato una persona semplice, legato alle sue abitudini e ai suoi luoghi, ma aveva molti interessi. Cose belle, vere, concrete. La sua passione era andare a funghi, ma gli piaceva anche andare nella Bassa veronese a raccogliere le erbe. Poi faceva i pelati. E molto bene, stando a quanto diceva mia madre, una che se intendeva. Spesso io e Sara siamo stati ospiti su a Mazzurega, e il ricordo delle ore trascorse insieme è bellissimo. Tutti gli atleti che ha allenato sono rimasti legati a lui, e andavano a trovarlo anche quando avevano smesso con l’atletica.

È sempre stato generoso, si intratteneva volentieri e spesso si finiva per parlare degli argomenti più disparati, come la giusta stagionatura delle soppresse – quante ne abbiamo mangiate insieme – che teneva in cantina e mostrava con vanto ai suoi ospiti.

La sua è una famiglia stupenda, con dei valori. E Angelo ha sempre saputo scindere la vita privata dall’atletica. Non è uno che ama le luci della ribalta, preferisce stare dietro le quinte. Questo è un tratto del suo carattere in cui mi sono rivisto tantissimo quando ho iniziato ad allenare.

Un’avventura, lamia, iniziata quasi per caso. Sara mi disse: «O mi alleni tu o smetto». Così decisi di mettermi in gioco e affrontai questa nuova sfida, maturando anche grazie ad Angelo. Insieme abbiamo fatto l’esame da allenatore specialista, a Schio, con il professor Enrico Arcelli. E poi è stato fondamentale nell’insegnarmi un certo tipo di impostazione dell’allenamento. Era convinto che l’atleta dovesse intraprendere un percorso di crescita e maturare, puntava tanto sull’aspetto umano e sulla programmazione. Era per la doppia periodizzazione, con allenamenti indoor e outdoor, ma è sempre stato molto misurato nel proporre questa metodologia. In un periodo in cui tutti consigliavano di far gareggiare il più possibile, lui invitava gli atleti ad ascoltarsi, per non sforzare troppo il fisico e favorire uno sviluppo armonioso del proprio potenziale.

Tra noi ci sono sempre stati rispetto e stima reciproca. Per un certo periodo, anche grazie alle vittorie di Sara, ero un tecnico abbastanza richiesto. Alla Bentegodi Angelo seguiva un buon ventralista, Franco Dugatto, che un giorno venne a chiedermi se lo allenavo. Io gli chiesi chi fosse il suo tecnico. «Il Professor Tagliapietra» «Il Taia?» Iniziai a sudare freddo. «Non lo so…»  gli risposi. Angelo non era geloso dei suoi atleti, ma pretendeva rispetto e correttezza. Così dissi a Franco di andare a chiedergli se fosse d’accordo. Solo quando fui certo che avevo il suo placet allora iniziammo a lavorare insieme.

Funzionava così. Poi col tempo io e Angelo abbiamo iniziato a confrontarci sempre più spesso, anche in anni più recenti, quando mio figlio Roberto gareggiava ad un certo livello. Si discuteva, si analizzava, si studiava e ognuno imparava dall’altro. Parlavamo un linguaggio comune, ci accomunava il fatto di essere entrambi uomini di campo. E poi ti sorprendeva sempre.

Angelo era un libro da sfogliare, se ne usciva con delle citazioni sbalorditive, retaggio della sua formazione classica. Parlava di cultura, rapporti umani, educazione. La sua conoscenza e i suoi insegnamenti sono stati una vera ricchezza per chi ha avuto la fortuna di incontrarlo. Come il suo amore per l’atletica leggera.

Un tesoro da custodire gelosamente.

SERGIO DALL’O lo tratteggia così:

“Angelo Tagliapietra ha una carattere e un temperamento particolari; si è formato nello stadio e nelle palestre, prima nelle palestre e poi come insegnante di Educazione Fisica: è un esempio di lealtà e di coraggio, sempre dimostrando una personalità forte, decisa, volitiva, indipendente, direi originale. Con Tagliaèietra, l’atletica benetegodina ha avuto un grande sviluppo, soprattutto nella nella velocità, nel mezzofondo, nei salti e nei lanci. Ha sempre lavorato sul campo, con il cronometro nascosto in tasca, controllando peròl i tempi di ciascuno, dando consigli e correggendo i comportamenti. Con Carlo Bovi, Paolo Omofri, Gianfranco Giulini, Nereo Bercelli, Sergio Servaliè, Italo Chiavico e Angelo Tagliapietra si è chiuso il cerchio magico dei migliori tecnici che hanno dato gloria e vanto alle celebrazioni del centenario dell’Istituzione. A Taglapietra è succeduto, quale allenatorte. Mirko Buglioli, già atleta bentegodino, campione e primatista nei 1500, nei 1000 piani e siepi, con l’incacico di coordinatore della sezione di atletica leggera bianconera”.

Tra sport e cultura

Questo IL PERSONAGGIO, come viene descritto da MIRCO BUGLIOLI:

“Angelo Tagliapietra (più confidenzialmente “El Taja“), lo conobbi quando, terminato il mio servizio militare, nel maggio 1964 rientrai come atleta nella Bentegodi. Già nei primi anni Sessanta lo avevo sentito ampiamente nominare dagli sportivi più anziani di me: ne parlavano tutti con ammirazione. Da atleta era stato davvero molto forte: gareggiava per società di Trento e Torino e se ne raccontava in termini di leggenda per certe competizioni straordinarie, che l’avevavo visto protagonista in gioventù e culminarono con la conquista di un titolo italiano nei 1500 metri. Poi, il debutto in maglia azzurra e una vittoria clamorosa sul campione olimpico dei 5000 metri, il belga Gaston Reiff che aveva ottenuto l’oro a Londra nel 1948 battendo nientemeno che Emil Zatopek.

Dal 1964 in in poi l’ho sempre frequentato giornalmente come atleta. Angelo Tagliapietra e Italo Chiavico lavoravano in quel periodo come allenatori della Bentegodi per volontà del Direttore Sergio Dall’O e avevano come obiettivo quello di rinverdire il prestigio della società a livello nazionale e internazionale. Sono stati l’architrave dell’atletica veronese. Peccato che ora, responsabile anche la politica, i risultati stiano scemando. Angelo era un uomo di cultura e in più circostanze si dilettava a recitare versi in latino. Raccontava spesso le storie della sua famiglia, molto numerosa. Lui era l’unico, tra i fratelli, ad aver frequentato il liceo classico. . La famiglia era contadina, lo diceva con orgoglio e, con orgoglio, raccontava che era vissuto con latte e polenta e che le sue scarpe erano di pezza.

Insegnava educazione fisica al Ferraris e alla Stimmate; molti dei suoi atleti provenivano da questi istituti. Aveva l’occhio clinico per individuare la specialità a cui indirizzare i giovani. Conosceva molto bene il movimento, il gesto , la tecnica e tutti i rami dell’atletica leggera. Pochi potevano confrontarsi con lui. La sua soria di allenatore è, del resto, una lunga storia: è durata per sei decenni, al Basso Acquar e al Bentegodi.

Molti atleti allenati da Tagliapietra hanno vestito la maglia azzurra ; tra loro, velocisti ostacolisti, mezzofondisti, saltatori e lanciatori. Pochi istruttori possono dire di aver allenato i propri stessi figli, ottenendo anche da loro degli ottimi risultati.

Quando gli atleti venivano chiamati per raduni nazionali di specialità, al loro ritorno erano spesso malconci. Tanto è vero che, quando ne parlavamo, eravamo concordi nel ritenere che quei raduni facessero più male che altro. Il Taja era sempre presente in qualsiasi circostanza ed era il primo a presentarsi agli appuntamenti. Persona molto severa, esigente, anche dura, chiedeva il massimo agli atleti. Il suo modo di fare era educativo e formativo. Molto spesso era altrettanto spassoso, soprattutto nei momenti di recupero tra le prove e a fine allenamento. Quando andavamo alle gare, ormai al termine della sua carriera, mi confidava che stava rileggendo i classici di quando era studente. Da allenatore era avversato da pochi e amato da molti. Si deve in gran parte a lui e a Italo Chiavico la crescita della nostra atletica. Grandi uomini e grandi allenatori”.

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