di Diego Mariottini

Scrivere la storia contro tutto e tutti.

Il blog “Contrasti”, che presta un’attenzione speciale ai personaggi della letteratura sportiva, ha dedicato un ricordo in punta di penna a Wilma Rudolph, ampiamente memorizzata durante il dibattito organizzato dal Panathlon Gianni Brera-Università di Verona. La presentazione del best seller “I cento metri” ha aperto la stagione di cultura sportiva 2023-’24 e ha avuto come apprezzatissimi ospiti gli autori Claudio Colombo e Fabio Monti. Riportiamo qui l’intervento che Diego Mariottini ha realizzato per “Contrasti”,  utile per approfondire la conoscenza di un’atleta che è stato un autentico simbolo nella storia dell’atletica leggera

29 anni fa la “Gazzella Nera” smetteva la sua corsa. Il 12 novembre 1994 muore a Nashville, Tennessee, Wilma Rudolph, una delle più grandi sprinter del ventesimo secolo. Con la sua scomparsa l’atletica leggera perde uno dei simboli più autentici. Uno di quelli che vanno oltre lo sport inteso come mero risultato agonistico. È una storia bella e per molti versi impressionante quella di Wilma Rudolph, il vero emblema delle Olimpiadi di Roma 1960 assieme a Cassius Clay.

Fra lei e la Capitale fu amore a prima vista. Storia impressionante? Sì, perché ci mette di fronte ai nostri limiti e a quello che di norma non facciamo per superarli. Eppure, se ce l’ha fatta una donna nera del Tennessee ex Stato schiavista dell’Unione, per giunta affetta dalla poliomielite, non dovrebbe essere così complicata per noi normodotati, no?


FUORICLASSE


Ci volle poco per intuire nell’andatura morbida e insieme nervosa, flessuosa ma straripante dell’atleta nera la stoffa della fuoriclasse. Nell’atletica essere fuoriclasse non è un fatto di età. Se non lo sei a vent’anni, molto difficilmente lo sarai a trenta. E nei giorni di gara allo Stadio Olimpico la ventenne Wilma impiegò pochissimo a far capire chi sarebbe stata in quell’edizione la star. Del resto ai Giochi non si vince una medaglia d’oro per caso, figuriamoci se gli ori sono tre, prima donna in assoluto a ottenere un risultato simile. Ma la vicenda umana della Rudolph è una di quelle che fanno rima con la fede, con la voglia di lottare contro la sfortuna, contro il pregiudizio. Contro la rassegnazione a tutti i livelli.

Wilma Rudolph mentre trionfa alle Olimpiadi di Roma


Contro un sistema politico-sociale che arriva a mettere la discriminazione nero su bianco. Perché se nella vita ce l’ha fatta una persona come Wilma Rudolph, donna in un mondo di uomini, nera in un mondo di bianchi, malata in un mondo di sani, allora è veramente il caso di dire che non ci sono scuse: ognuno cerchi il meglio che è dentro di sé e impari a lottare. Perché già quella è una grandissima vittoria, anche senza un pubblico ad applaudire o una medaglia a significarne l’impresa. Senza retorica, per carità, ma senza minimizzare lo straordinario. Partire da “outcast” (reietto) e diventare una fuoriclasse. Che storia!


UNA VITA DIFFICILE


Wilma Glodean Rudolph nasce a Clarksville, nello stato americano del Tennessee, il 23 giugno 1940. Il Tennessee è famoso per essere la culla della musica country, per aver dato i natali al regista Quentin Tarantino e per le coltivazioni di cotone. Viene anche ricordato come un’entità del Sud-Est che al tempo della guerra di secessione americana non stava esattamente dalla parte del ‘progresso’. Più raramente si associa questo Stato alla figura di Wilma Rudolph. Eppure la sua è una storia molto americana, una di quelle un po’ da film, in cui la forza dell’individuo può ribaltare qualsiasi avversità. È una bambina, la ventesima di ventidue figli in casa Rudolph, quando viene colpita dalla poliomielite. Sembrano un verdetto inappellabile le parole di medici un po’ troppo sbrigativi:

«La ragazza perderà l’uso della gamba sinistra».

Eppure, dichiarerà lei anni dopo: «I medici mi dicevano che non sarei più stata in grado di camminare, ma mia mamma mi ripeteva che ce l’avrei fatta. Io decisi di credere a lei». Per anni la piccola Wilma sarà costretta a portare un apparecchio correttivo, e ad andare due volte alla settimana all’ospedale per fare le terapie, nonostante la struttura riservata ai neri si trovi ad ottanta chilometri da Clarksville. È un giorno stupendo, indimenticabile quello in cui, dopo anni di trattamenti, Wilma lascia i medici a bocca aperta.

All’improvviso si toglie con le sue stesse mani l’apparecchio correttivo e, contro ogni sentenza medica che l’aveva condannata a una vita da handicappata, comincia a camminare e poi a correreda sola. Più avanti ci scherzerà anche su, come riportato in ‘Palla lunga e pedalare’ di Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi (Dalai Editore, 1992): «Dovevo essere veloce. Avevo 21 fratelli: se non mi sbrigavo non trovavo mai niente da mangiare». Sembra la storia di Forrest Gump condita con Pomodori Verdi Fritti, ma almeno Forrest è uomo. Tipo particolare, ma uomo. E soprattutto, personaggio di fantasia.

Wilma RudolphIl sorriso di Wilma Rudolph, foto del 15 settembre 1960


Lei ha circa dodici anni ed è come se fosse nata in quel momento. È la voglia di vivere che non vuole ostacoli sulla sua strada. È la felicità che scarica pesi e rende leggeri. Comincia subito a praticare sport, individuali e di squadra. Del resto, ha talmente tanti fratelli e sorelle che organizzare una partita a basket nel cortile di casa Rudolph non è complicato. Ma c’è qualcosa che l’attira ancora di più: da bambina non riusciva a camminare, adesso vuole correre e battere tutti. Nemmeno gli uomini più veloci riescono a star dietro a quella silfide che cresce in altezza ogni giorno di più. A scuola viene notata da Ed Temple, allenatore femminile alla Tennessee State University che vede in lei le potenzialità della grande velocista. Si impone una scelta radicale, basket o atletica. L’ipotetico gioco della rupe fa sì che la palla a spicchi finisca giù.


CAMPIONESSA


Ha ragione l’allenatore Ed Temple, perché Wilma Rudolph si rivela presto un’atleta di livello internazionale. Ha 16 anni e mostra il fisico di una donna (è alta 180 centimetri e pesa meno di 60 chili) e l’andatura di una gazzella. La “gazzella nera”, così la chiamano, non perde una gara neppure a volerlo, fa tempi straordinari e stupisce perfino chi ne aveva percepito il talento in tempi non sospetti. Si tratta di prestazioni tali da permetterle di partecipare alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, quando ottiene un primo risultato straordinario: vince la medaglia di bronzo con la staffetta femminile 4×100, mostrando tutto l’entusiasmo di una ragazza ma anche la saggezza tattica di una veterana.

Al ritorno in patria, forte di una certa notorietà e della possibilità di pagarsi gli studi, la giovane campionessa s’iscrive finalmente alla Tennessee State University, con l’intenzione di laurearsi in Istruzione Elementare, ma la voglia di emergere nella corsa prende poco alla volta il sopravvento su tutto: l’obiettivo principale è Roma 1960. Ai XVII Giochi Olimpici dell’era moderna, che andranno in scena nella Capitale dal 25 agosto all’11 settembre 1960, Wilma Rudolph, appena ventenne, sarà una delle grandissime protagoniste con risultati che passeranno alla storia non solo dell’atletica leggera, ma dello sport in generale.

«Tutte le Olimpiadi creano un mito. Il mito fiorito in questa edizione dei Giochi porta il nome di una ragazza nera di vent’anni, un’americana degli Stati Uniti: Wilma Rudolph. È giovane, bella, orgogliosa. È la donna più veloce del mondo».

Corriere della Sera, 9 settembre 1960

I paparazzi di tutto il mondo non avranno scatti che per lei, più che per Cassius Clay, per Nino Benvenuti, per Abebe Bikila, il maratoneta che trionferà sotto l’Arco di Costantino a piedi scalzi. È della “gazzella nera” l’oro sui 100 metri piani, con un tempo straordinario rispetto a oltre mezzo secolo fa: 11’’netti, record del mondo non omologato per via dell’eccessivo vento a favore. E chissà se è vero ciò che riporta il New York Times, il giornale (sulla carta) più prestigioso e affidabile al mondo: ovvero che Wilma, il giorno prima della corsa, si era slogata una caviglia appoggiando il piede in una buca durante l’allenamento.

“La ventenne maestrina di Clarksville conquista ben presto la simpatia del pubblico, ma quello che più importa conquista con estrema facilità la medaglia d’oro dei 100 metri”


Fatto sta che la Rudolph si ripete tre giorni più tardi nei 200 metri, dopo avere eguagliato il record olimpico di 23”2 nelle batterie eliminatorie (il record mondiale, stabilito a Corpus Christi, Texas, il 9 luglio 1960 con il tempo di 22”9 già le apparteneva). Completa infine l’opera portando al successo la staffetta femminile 4×100: medaglia d’oro e nuovo record del mondo con 44”5. La stampa italiana arriverà anche a ipotizzare anche una love story con il velocista italiano Livio Berruti, vincitore dei 200 metri piani maschili nella stessa edizione dei Giochi. Associated Press la nomina ‘Atleta donna dell’anno’ nel 1960 e nel 1961, anno in cui migliorerà il record mondiale dei 100 metri correndo in 11″2 a Stoccarda, il 19 luglio 1961.


NON SOLO PISTA


Nel 1962, a soli 22 anni, Wilma prende una decisione drastica e per molti versi inaspettata: si ritira dall’attività agonistica. Ciò che ha vissuto sulla pista d’atletica è stato bellissimo ma aver riscattato una vita difficile non è tutto, lei ha altri progetti. Lavora come insegnante di educazione fisica, allenatrice di atletica e come commentatrice sportiva. L’anno successivo si sposa e dal suo matrimonio nasceranno quattro figli. Alla metà degli anni ’70 il nome di Wilma Rudolph entra nella Hall of Fame dell’atletica leggera mondiale. Nel 1977 esce “Wilma Rudolph on Track”, un’autobiografia molto dettagliata dalla quale trarrà ispirazione il film “Wilma”, interpretato, fra gli altri, da un giovanissimo Denzel Washington.

Nei decenni successivi ha tenuto conferenze in ogni parte degli Stati Uniti d’America e nel 1991 è stata anche ambasciatrice per la celebrazione europea dello smantellamento del muro di Berlino. Tornata nel Tennessee, la Rudolph ha contribuito ad aprire e gestire cliniche sportive e ha svolto consulenze per squadre universitarie di atletica leggera. Ha anche creato la sua organizzazione, la Wilma Rudolph Foundation, dedicata alla promozione dell’atletica amatoriale.

«Sarei stata delusa ad essere ricordata solo come un’atleta, perché sento che il mio contributo alla gioventù americana ha superato di gran lunga quello della campionessa olimpica».

Wilma Rudolph

Nel luglio del 1994, però, l’ex “gazzella nera” si trova ad affrontare un avversario più cattivo e perfino più veloce di lei: le viene diagnosticato un tumore fulminante al cervello. Per la prima volta “l’imbattibile” perderà uno sprint, quello decisivo. Il 12 novembre di 29 anni fa, a Brentwood (Tennessee) Wilma Rudolph muore all’età di 54 anni. Nel 2004, a 10 anni dalla sua scomparsa, gli Stati Uniti emettono un francobollo che ricorda la triplice impresa di Roma. E il Tennessee, che riservava agli antenati e ai genitori di Wilma una condizione a dir poco subalterna, adesso ama (e celebra) la sua atleta più rappresentativa.

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